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Forum moderator: amianto  
Forum » Notizie di cronaca » Brutte notizie » Sfruttamento lavoro in Toscana (Scampate ai lager libici, sfruttate tra i campi della Maremm)
Sfruttamento lavoro in Toscana
amiantoDate: Mercoledi, 2023-08-02, 9:31 PM | Message # 1
Generalissimo
Group: Administrators
Messages: 508
Status: Offline
Nei borghi turriti c’è il paradiso: le case antiche scelte da artisti, intellettuali e manager per vacanze in un’atmosfera
rinascimentale. Nei poderi, a pochi chilometri di distanza, c’è
l’inferno: braccianti straniere umiliate e sfruttate, costrette a
lavorare sotto il sole per dodici ore. Accade nella Maremma grossetana
dei casali con piscina, nei dintorni di Arezzo dove si moltiplicano i
castelli trasformati in resort, nella Val Cornia livornese che sta
diventando l’ultima frontiera dei viaggiatori illuminati.
È il lato oscuro dell’idillio toscano, una violazione di qualsiasi
diritto a danno soprattutto di donne straniere che qui sembrano
invisibili: vengono prelevate prima dell’alba dai furgoni dei caporali e
al tramonto scompaiono. Quasi una beffa per queste persone spesso
arrivate dall’Africa, sopravvissute alle violenze dei trafficanti e alla
traversata del Mediterraneo. Per poi ritrovarsi in mercé di altri
aguzzini, trattate come “animali” - come testimonia una di loro - nelle
coltivazioni che producono ortaggi, vini e oli di qualità per gli
scaffali della grande distribuzione: dietro i sapori autentici della
cucina più celebrata c’è pure il loro dramma.
“Certo, la situazione in Libia è peggiore perché possono spararti -
spiega Mary, venuta dalla Nigeria, mentre tiene un neonato sulle spalle e
fa le treccine all’altra figlia di quattro anni - ma lì non accadeva
che lavorassi senza essere pagata. Qui in Toscana ho fatto la vendemmia,
riempito cassette di pomodori, cipolle, insalata, spinaci dalle 7 del
mattino alle 18.30. Pure quando ero incinta, fino al settimo mese. Tante
volte poi però i caporali mi hanno pagato molte ore meno del dovuto. È
tutto molto difficile”.
E lo dice una donna che rischiato la vita sul barcone per la Sicilia:
“Il viaggio in mare è stato terribile. Ho visto persone morire, mi sono
salvata per miracolo: dopo lo sbarco mi hanno ricoverata in un ospedale
italiano per una settimana”.
Alcune indagini della Guardia di Finanza negli scorsi mesi hanno
aperto uno squarcio nella cappa di silenzio che protegge questo business
crudele. Adesso un’inchiesta dell’ong WeWorld in collaborazione con
Tempi Moderni ha setacciato in maniera sistematica per sei mesi le
spietate condizioni delle lavoratrici nei campi dove crescono i carciofi
violetti, le uve DOCG, i pomodori di prima scelta. Con grande
difficoltà hanno ottenuto le testimonianze delle persone che soffrono un
doppio e talvolta triplo sfruttamento: “Siamo donne, straniere e nere.
Ci danno molto meno che agli uomini. Quanto? All’inizio promettono anche
5 euro l’ora per quasi dodici ore al giorno poi a fine mese nella busta
ce ne sono solo seicento”.
Le donne nigeriane ad esempio vanno direttamente dai centri d’accoglienza ai poderi: pianure fitte di piante o di alberi che
proseguono a perdita d’occhio. Avvicinarle nelle coltivazioni è
impossibile. Sono sorvegliate da guardiani brutali: “Ci dicevano sempre
‘Veloce, veloce!’ e non avevamo mai pause. Solo qualche minuto anche per
bere. Dovevi mangiare praticamente di nascosto. Alcune non mangiavano
nemmeno, aspettavano la sera per il pasto al centro d’accoglienza”.
“La stagione più dura è quella dei pomodori", aggiunge Mary.
“Lavoravamo anche nelle ore più calde. Non c’era ombra. Non avevi
scampo. Mio marito ha visto che stavo male e si è lamentato, ma non ci
hanno dato neanche un cappellino”. Pure l’inverno è duro. Sonya,
cittadinanza indiana, ha avuto un aborto spontaneo: “Il dottore del
Pronto Soccorso ha detto che trascorrevo troppe ore in piedi tutti i
giorni. E poi tante ore con le mani immerse nell'acqua ghiacciata per
lavare gli ortaggi e la frutta. Non avevamo guanti: facevamo tutto a
mani nude. L'acqua ghiacciata è tremenda, ti gela tutto il corpo”.
Guai a lamentarsi. In Val Cornia le insultavano: ”Siete animali!
Siete schiave!”. La romena Adriana porta i segni di questo logoramento:
“Dopo anni passata a stare piegata e a raccogliere carciofi, spinaci e
meloni, oggi cammino male, ho difficoltà a muovere la schiena, ho
l’artrite alle mani”.
La loro vita è nelle mani dei caporali, quasi sempre pakistani e in
rari casi indiani: sono loro a decidere quali saranno ingaggiate, quando
e come verranno retribuite. Le prelevano con furgoni dai vetri scuri e a
fine giornata le riportano via: non hanno nessun rapporto con le
comunità del luogo, sono come fantasmi.
“Il padrone non c'era quasi mai con noi - prosegue Sonya -. Faceva
tutto un giovane caporale del mio Paese. Il padrone si fidava
completamente di lui, ma lui se ne approfittava. Un paio di volte ci ha
maltrattate davanti al padrone, forse per fargli vedere quanto era
bravo”.
L’aspetto più inquietante evidenziato dall’inchiesta realizzata dal ricercatore Federico Oliveri
per WeWorld e Tempi Moderni è come in Toscana si stia affermando un
nuovo modello di agricoltura che in nome del profitto riveste con
un’apparenza di legalità i metodi illeciti. Uno stil novo che abbatte i
rischi e sorregge la rispettabilità degli imprenditori, grazie a schiere
di professionisti compiacenti che coprono con documenti, certificati e
cedolini una realtà che viola le regole e la dignità delle persone.
Molte volte le braccianti firmano contratti regolari, che non vengono
rispettati. Tutto è manipolato: si registrano il minimo delle ore e
delle giornate, si gonfiano le deduzioni, si omettono alcune voci del
salario. C’è un dato che permette di capire questa evoluzione dello
sfruttamento: la Toscana è la seconda regione dopo la Puglia per numero
di ore di lavoro “appaltate” a “società contoterziste”: sono le “aziende
agricole senza terra”, che forniscono braccia ad altri.
Partite Iva individuali, srl o cooperative, in molti casi gestite da
stranieri, che mettono a disposizione manodopera con costi estremamente
bassi. Il padrone fa un contratto che comprende ogni aspetto
dell’attività agricola: è consapevole che solo violando le regole quei
risultati saranno raggiunti, ma non è responsabile davanti alla legge.
Così i prezzi stracciati dei discount o l’offerta speciale delle
primizie nei supermarket di marca di Firenze o Milano vengono pagati
dalle persone più vulnerabili: le braccianti straniere, l’ultima ruota
di un carro che gli nega qualsiasi possibilità di negoziare salari e
orari.
“Quando abbiamo chiesto un aumento ci hanno minacciato - dichiara
Adriana -. Non avevamo quasi più soldi da mandare a casa in Romania, per
mia madre e i miei due figli. Uno di loro è malato, ha bisogno di
cure”.
La nigeriana Grace è stata vittima della tratta e poi si è ritrovata
nelle aziende agricole aretine: “Non pensavo che il lavoro sarebbe stato
così duro. Mi consideravo forte, ma ho dovuto ricredermi. Non era solo
stanchezza fisica. A volte mi sentivo stanca dentro: sentivo gli occhi
degli uomini che lavoravano con me sempre addosso”. Molestie e abusi
sessuali sono frequenti: “Ho sentito di una romena che si era rifiutata
di ‘andare in bagno’ con il padrone italiano - riferisce Sonya -. Allora
lui l'ha insultata e licenziata da un giorno all'altro”.
Ad Arezzo Sonya ha cercato di aiutare un’altra giovane, una bengalese
di 23 anni rimasta orfana perché il padre era morto nei cantieri di
Marghera. Lei si occupava di mantenere la madre: “Tutti sapevano che il
caporale andava a letto con quella ragazza, altrimenti non avrebbe
lavorato più. Mi disse che il padrone sapeva tutto perché gliene aveva
parlato il caporale. E stava bene a tutti. Alcune volte anche il padrone
la toccava mentre lavorava. Lei faceva finta di nulla. Lasciava
correre. Ma so che soffriva tantissimo”. Un’omertà radicata: “Quando il
caporale o il padrone ti ordinano di fare qualcosa, devi obbedire!
Quelli ti mandano subito via e prendono subito un'altra”.
“In Toscana abbiamo scoperto donne che hanno già subito ingiustizie e
sfruttamento, prima di riviverlo nei campi - commenta Margherita
Romanelli, coordinatrice area progetti Europa & Advocacy di WeWorld
-: proprio per questo spesso sono disposte a sopportare un lavoro che le
priva dei più basilari diritti umani. Bisogna intervenire per
combattere quelle condotte imprenditoriali irresponsabili che creano
gravi violazioni alle braccianti, ma anche ai consumatori che sempre più
richiedono prodotti etici e si trovano, loro malgrado, ad essere parti
inconsapevoli di un meccanismo di prevaricazione”.
Mary ci parla da un podere dove ogni ulivo ha il suo canale di
irrigazione e i filari delle vigne sono perfetti: le piante di pregio
vengono trattate meglio delle persone. “Quando ho visto al supermercato i
prezzi della verdura che raccolgo, mi sono chiesta perché ci pagano
così poco…”.
In Toscana però ci sono sindacati e istituzioni pronte a sostenerle,
anche se chi denuncia sa che non troverà più un lavoro. Come è successo a
Ecaterina: “Ho 55 anni, lavoro nei campi da quando sono arrivata dalla
Romania, quasi tredici anni fa. Prima non mi pesava così tanto. Ora
sento di non riuscire più ad alzarmi quando mi piego a terra. Cosa farò,
dove andrò se mi licenziano? mi chiedevo. Chi darà lavoro a una donna
straniera, vecchia e debole? E così andavo avanti, sopportando il
dolore. Poi ho detto basta”.

 
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